Voci Da Ricordare: Conversazione Sugli Archivi Digitali Dell’America Indigena

[00:00] Anar Parikh (AP): Anthropological Airwaves is the official podcast of the journal American Anthropologist, whose main offices are located on the traditional and ancestral territories of the Anacostan, and Piscataway peoples. The Anacostia and Potomac rivers have long been places of trade and gathering for Indigenous peoples, and Washington DC is now home to diverse Indigenous people from across Turtle Island. American Anthropologist has published articles throughout its history that have taken knowledge from Indigenous peoples for a scholarly audience and has not required its authors or editors to be good relations to Indigenous peoples and communities. Acknowledging territory is only one step in repairing relationships between anthropologists and Indigenous peoples. The Editorial Collective of the journal is committed to deep listening and engagement with Indigenous scholars, peoples, and communities to explore ways to be a better relation. 

Parts of this episode were edited and produced from the traditional territories of the Catawba, Waxhaw, Cheraw, and Sugaree peoples, and specifically in Charlotte, North Carolina—a city located on the traditional crossroads of two Indigenous trading paths: the Occaneechi Path and the Lower Cherokee Traders’ Path, which facilitated the extensive trade network of Cherokee, Catawba, Saponi, and Congaree peoples prior to colonization. While many descendants of Cheraw, Waxhaw, and Sugaree communities eventually joined the Catawba peoples, today, the Catawba Nation continues to thrive as a federally recognized tribe located less than one hour south of where this recording took place. 

[01:22]– avvio sottofondo musicale di apertura 

[01:42] AP:  Hi everyone! Thanks for joining us for another episode of Anthro Airwaves – the official podcast of the journal American Anthropologist. This is Episode 5, Season 3-ish. 

[01:53] chiusura sottofondo musicale di apertura

[01:53] AP: My name is Anar Parikh, I’m a PhD Candidate in Anthropology at Brown University and the Associate Editor – Podcast at American Anthropologist. I use she/her pronouns and I’m also the Executive Producer of this show. As you might remember, last month we wrapped up our “Crossover” mini-series with the fantastic team from Talking Culture, and during the second half of Season 3-ish Anthro Airwaves will be airing some very special guest produced programming with both new and familiar voices. I’m very excited to introduce today’s show so let’s get right to it!

[02:27] AP: Anthropological Airwaves is pleased to present “Voices to Remember” a conversation between Massimo Squillacciotti - Emeritus Professor of Anthropology and the founder of the first Italian course of Cognitive Anthropology at the University of Siena; Luciano Giannelli - Professor of Glottology and South American Indigenous Languages at the University of Siena, and Paola Tine - PhD Candidate in Social Anthropology and Development Studies at the University of Adelaide, South Australia. In this episode Massimo, Luciano, and Paola, discuss original audio recordings of the Guna people of Panama collected during the second half of the 1990s and recently digitally archived at the Interdepartmental Center for Studies on Pluriversal America of the University of Cagliari. This episode was originally recorded in Italian, and we are excited to be able to make both the Italian version and a dubbed English version available to Anthro Airwaves listeners. To begin, Massimo, Luciano, and Paola will talk about the making of these archives, before proceeding to discuss selected original recordings from the archive itself. The conversation between the three guests is rich with details and context: of Massimo’s four decades of experience working with the Guna people; of Luciano’s efforts to translate the material in collaboration with local researchers; and Paola’s questions of Indigenous inclusion, agency, and reciprocity in anthropological and archival work. We think there is a great deal listeners might take away from this episode about multi-generational stewardship of archival materials that is grounded in careful and relational praxis. If you are interested in learning more about this project, Massimo, Luciano, and Paola have provided a more detailed note about transliteration, data collection, and publication as well as a selection of images, and a list of references to accompany the episode transcripts. These supplemental materials are available on the episode page, located on the Anthropological Airwaves section of the American Anthropologist website. Links, as always, will be included in the show notes. 

And with that, I’ll turn it over to Massimo, Luciano, and Paola.

[04:28] Tumbirikechu [tumbirikkèciu]: Susurros de la Naturaleza - A hush of Nature - Avvio musica Guna ‘Il respiro della natura’

[05:05] Tumbirikechu [tumbirikkèciu]: Susurros de la Naturaleza - A hush of Nature - Chiusura musica Guna ‘Il respiro della natura’

PARTE I – GLI ARCHIVI

[05:06] Paola Tine (PT): Il brano musicale con cui abbiamo aperto il nostro incontro ha come titolo: Tumbiriggechu [tumbirikèciu] ovvero ‘Il respiro della natura’. E’ un motivo tradizionale latinoamericano ed è qui eseguito dal musicista Guna Marden Paniza [màrden panìssa] con il suo gruppo Bannaba [bànnaba] Project. Questo ascolto musicale ci introduce al tema dell’incontro di oggi: Guna Yala [kuna iàla]: Voci da Ricordare – Conversazione sugli Archivi Digitali dell’America Indigena. In particolare presentiamo l’Archivio del CISAI - Centro di Studi sull’America Indigena, dell’Università di Siena, con riferimento ad un rito del popolo Guna: il taglio dei capelli e il rito della pubertà femminile, con il relativo canto Ied Namagged [ìed namàkket]. Benvenuti Massimo e Luciano. Per cominciare la nostra conversazione, vorrei chiedervi di parlarci delle vostre ricerche linguistiche ed etnografiche tra i Guna e di presentare la storia di questo archivio e perché è così particolare ed importante.

Come ho conosciuto i Guna

[06:06] Massimo Squillacciotti (MS): Il mio primo contatto con la cultura dei Guna è avvenuto negli anni ’70, quando insegnavo Antropologia Culturale alla Facoltà di Scienze dell’Educazione della Pontificia Università Salesiana di Roma. Il corso era frequentato da studenti e studentesse, religiosi e laici, provenienti da molte parti del mondo e tra questi studenti, nel 1978, c’era anche Aiban Wagua [àiban uàgua], del popolo Guna … e con lui poi siamo diventati amici, ed anche con le rispettive famiglie. Bene. Aiban preparò la tesi con me dal titolo “I kuna tra due sistemi educativi. Analisi delle espressioni culturali più significative e i rischi di conflitto” e così, una volta laureato, nel febbraio del 1981, mi ha invitato nel suo villaggio di Ogobsuggun [ogopsùkkun] a conoscere la sua famiglia e … “a farmi conoscere” da loro … ed eccomi così tutte le sere alla scuola del villaggio a presentare ai giovani maestri Guna cosa gli antropologi avevano capito e scritto sulla loro cultura! Insomma, mi sono ritrovato a lavorare “con loro e per loro” … e in cambio mi hanno insegnato la loro lingua. E questo fu solo l’inizio della storia dei nostri rapporti, perché si svilupparono poi come collaborazione tra l’Università di Siena e il Congreso General Kuna de la Cultura [kongrèso heneràl de la cultùra cùna], fin quando, nel 1997, il sagla dummad [sàila dùmmat] (che è un titolo equivalente a quello di ‘presidente’) Carlos López [kàrlos lòpes] ed Aiban Wagua [àiban uàgua] sono venuti a Siena per un seminario sulla tradizione orale, presentando I canti della resistenza Cuna, là dove ciò che rendiamo con “canto” è propriamente “trattato”, “cammino” (igala [igàla]). Una presenza ed una prova in un’aula universitaria su come il sagla [sàila] rimemora la storia, che viene resa attuale dall’argar [àrgar], suo portavoce che a sua volta la interpreta e la spiega a partire dall’oggi, dai problemi che il popolo vive ancora una volta. Canti che si perpetuano perché resi presenti nell’esortare alla lotta ed alla vita, nello spirito di popolo nativo. Siamo qui già su un altro piano da quello del rapporto personale ed il passaggio ad un piano istituzionale è segnato dalla costituzione, con colleghi ed allievi dell’Università di Siena, di un Centro di Studi sull’America Indigena: il CISAI. 

L’archivio

[08:45] Il CISAI si era dotato di un sito web per la pubblicazione e messa a disposizione di materiali e documenti elaborati nella ricerca e nello studio. Il sito – off-line dal 2017 – è ora trasformato in un Archivio e per Archivio intendiamo la raccolta ordinata e sistematica di atti e documenti la cui conservazione è ritenuta di interesse pubblico, e magari con specificità di tema o campo di studio e ricerca. Ci sono vari tipi di Archivio: 1) l’Archivio di tipo bibliotecario - all’antica, tanto per intenderci - dotato oggi di risorse informatiche; 2) e poi c’è l’archivio tipo l’Archivio del CISAI, che è presente in ben due collocazioni:  a) uno spazio riservato presso il sito del CISAP (Centro Interdipartimentale di Studi sull'America Pluriversale dell'Università di Cagliari); https://sites.unica.it/cisap/archivio/cisai/; b) e uno spazio autonomo o dominio nella piattaforma internazionale di Academia. https://independent.academia.edu/CisaiArchivio

[09:52] MS: Entrambi questi due Archivi sono di tipo statico in quanto si limitano a raccogliere il materiale elaborato e prodotto dal Centro nel corso della propria attività. Sono gli anni che vanno dal 1998 al 2017, quando poi il CISAI ha smesso la sua operatività nel 2019. Oggi un Archivio è in formato digitale e permette la conservazione di materiali che possono essere consultati a distanza e che, con il tempo, deperirebbero se registrati su altri supporti. Inoltre, un Archivio Etnografico fatto bene è un luogo di conservazione e sviluppo della ricerca, perché permette l’accesso a materiali digitalizzati e di diverso formato: testuale – audio – video e il supporto di un apparato critico come schede – indici – mappe concettuali. E’ quindi un sistema complesso di archiviazione il cui accesso è consentito ai ricercatori che ne vogliano far parte con un “principio di reciprocità” e di “etica della forma”, cioè di rispetto e tutela della proprietà intellettuale, ivi compresa quella dei soggetti che sono stati coinvolti nella raccolta dati, persone o organismi indigeni che siano. A proposito di tutte queste questioni mi riferisco ora al nostro lavoro Ied Namagged. [ìed namàkket] Il canto della tonsura e il rito della pubertà femminile tra i Guna, pubblicato e reperibile nell’Archivio CISAI presso il sito del CISAP, con tre tipi di documenti: il testo del “canto”, la traccia audio del canto e un apparato critico di carattere linguistico ed uno di carattere etnografico. Seguendo il “principio di reciprocità” abbiamo collaborato con gli organismi indigeni della cultura e svolto formazione sia dei loro ricercatori a Panama come a Siena, sia dei nostri ricercatori a Siena, sempre con la collaborazione di Aiban Wagua [àiban uàgua] ed altri operatori Guna. Poi abbiamo avviato un proficuo confronto sulle rispettive ricerche a Guna Yala [kuna iàla], sulla messa in scrittura della lingua materna, producendo e sperimentando materiale didattico per l’insegnamento ed apprendimento della lingua, in particolare con i maestri e le maestre Guna. Con l’altro principio, cioè di “etica della forma”, intendiamo non solo l’accompagnamento per ogni documento dei dati di complemento che lo riguardano (il come, dove, quando, chi…), ma soprattutto il riconoscimento che i materiali raccolti sul campo sono di proprietà del popolo Guna e che la loro diffusione è vincolata alla riservatezza che, ad alcuni di questi documenti di tradizione orale, è riconosciuta dai maestri e responsabili della tradizione stessa. E’ questo il caso della pubblicazione de I canti della resistenza Cuna – di cui parlavo prima – che, in accordo con il Congreso General Kuna de la Cultura [kongrèso heneràl cùna de la cultùra] è ora reperibile anche nell’Archivio CISAI nella piattaforma di Academia. Un discorso diverso è per quei Canti che possiamo definire “di uso pubblico” e la cui memoria passa anche attraverso chi, dove e come quel Canto ascolta, per cui la fedeltà al “significato del testo” può essere relativa ma ne rimane pur sempre il “senso” tra i partecipanti. E’ questo il caso del Canto della tonsura Ied Namagged [ìed namàkket] che accompagna il rito della pubertà femminile, da noi pubblicato e reso disponibile.

Il lavoro sul testo e l’apparato critico

[13:46] Luciano Gianelli (LG): Il canto è stato raccolto su nastro magnetico da Antonio Réuter Orán [antònio réuter oràn] dalla voce di Teresa Pérez [terésa pères] sull’isola di Dubbir [tùpir] o Dubbile [tupìle], nella Comarca di Guna Yala [kuna iàla], nella seconda metà degli anni’90 del secolo scorso. Lo stesso Orán [oràn] aveva redatto una traduzione abbastanza libera in spagnolo, che è riportata nei protocolli nel sito web e nella pubblicazione a stampa. Il lungo lavoro sul testo del canto Ied Namagged [ìed namàkket], iniziato nel 1998, è consistito prima di tutto in una messa in scrittura esatta del testo cantato, mediante il sistema ortografico ufficiale elaborato dalle istituzioni Guna, e in una trascrizione fonetica stretta, operata da Beatrice Pacini direttamente, com’è ovvio, dalla registrazione. Tutto questo ha consentito la trascrizione morfologica del testo (con la tecnica del calco interlineare) assolutamente fedele a quello oralmente eseguito, e da questa si è potuta fare una traduzione del testo in italiano, il più possibile rigorosamente letterale e al tempo stesso nel tentativo di mantenere la sua natura poetica. La delicata operazione di trascrizione morfologica, che presuppone l’esatta comprensione delle frasi nel dettaglio, è stata compiuta con la collaborazione dello stesso Antonio Réuter Orán, di Aiban Wagua e di José Angel Colman. [antònio réuter oràn - àiban uàgua - hosè ànhel còlman] Lo stesso vale per le complesse note esplicative che accompagnano e decodificano il testo sul piano contenutistico, per le quali Aiban Wagua [àiban uàgua] ha anche interpellato direttamente esperti ‘cantori’ (sagla [sàila]), non potendosi tornare alla fonte, in quanto Teresa Pérez [terésa pères] – l’esperta del canto e del taglio dei capelli – nel frattempo era deceduta. 

[15:36] LG: Delle verifiche interpretative erano state comunque fatte a suo tempo da Orán [oràn] con Pérez [pères], soprattutto per la terminologia specifica e di un livello linguistico ‘alto’ e semi-criptico, spesso non chiaro agli stessi parlanti nativi Guna che però, come Orán [oràn], non siano stati per così dire ‘iniziati’. È notorio che i sagla [sàila] Guna, o i nele [nèle] (medici, sensitivi) impiegano nelle loro esecuzioni verbali più o meno formalizzate dagli argar [àrgar], in qualità di traduttori ed interpreti. Come ho accennato, le varie messe in scrittura del testo, la sua traduzione in spagnolo e in italiano, sono accompagnate da protocolli esplicativi, sia sotto il profilo linguistico che contenutistico, e da una introduzione di natura etnologica. Secondo la consuetudine Guna, l’intero lavoro, pur dandosi conto in un protocollo del contributo operativo di ciascuno a vario titolo, come indicato nella pubblicazione, è attribuito ad un’autoria complessiva ed anzi comunitaria, e il copyright è appunto © popolo Guna. Proprio per quest’ultimo principio di autoria comunitaria del prodotto culturale, e per la gelosa difesa che i popoli precolombiani, e i Guna in particolare, hanno della proprietà intellettuale, il maneggio e l’elaborazione dei materiali da parte di personale italiano, attuati formalmente in lavoro congiunto con i Guna stessi e con le loro istituzioni, costituisce un rarissimo esempio di collaborazione interetnica. È ovvio che operazioni di questo genere, essenziali per tramandare in forma corretta e completa un testo di produzione orale, sono ben salvaguardate e valorizzate da un archivio digitale, che consente una trasmissione del testo di produzione orale, ovviamente effimero nella sua esecuzione specifica, appunto corretta, completa e ben fruibile; tanto più quando vi sia l’accompagnamento di una registrazione video, che purtroppo però non è il nostro caso.

 PARTE II – IL CORPO E LA VOCE

[17:34] PT: Massimo e Luciano hanno selezionato due sequenze in particolare del Canto della tonsura Ied Namagged [ìed namàkket]. Il primo estratto riguarda il taglio dei capelli vero e proprio - nel “canto VIII” - e poi il secondo estratto è la sequenza finale del Canto con i “canti XII-XIV” in cui la narrazione riguarda il passaggio verso l’aldilà della ied [ìed], tagliatrice di capelli.

Descrizione del rito

[17:57] PT: Siamo nel 1981 nel villaggio di Ogobsuggun [ogopsùkkun] a Guna Yala [kuna iàla] dove si svolge il rito di passaggio della pubertà femminile: una donna esperta della cerimonia entra in una capanna e si accinge a tagliare i capelli alla ragazza giunta al termine del suo menarca. L’operatrice (ied [ìed]) comincia con un canto cerimoniale rivolto alla ragazza, con l’invocazione allo “spirito protettore del rito”, per poi procedere con l’operazione materiale del taglio rivolgendosi con il canto a tutti i presenti invitandoli ad una partecipazione corale: è lo spirito della continuità e del rinnovamento della vita che la ragazza rappresenta ad essere celebrato e chiamato in causa per assistere l’operatrice e “benedire” il rito, per riportare i presenti al senso del reale con un ponte tra il simbolico espresso nel canto e lo spirito di realizzazione sulla Madre Terra che Dio  indica al popolo Guna. Luciano e Massimo, quali sono le fasi di questo rito e qual’e’ il loro significato?

[19:00] LG: Il canto VIII rappresenta il momento cruciale in cui viene narrato il lavoro che la tagliatrice (ied [ìed]) nel rito effettivo compie con le forbici sui capelli della ragazza. Il testo è comunque in prima persona perché Teresa, nel rivolgersi alla ragazza, in realtà parla di sé stessa. Gli altri tre canti sono la descrizione del viaggio che, immaginandosi defunta, la ied [ìed] farà su un fiume per andare in grembo a Gammibe [kammìbe] (in sostanza, il sole) sostenendo un giudizio sulla sua adeguatezza nello svolgimento del proprio compito, sia per abilità che per senso di sacrificio, dovendo trascurare i propri doveri di madre per quelli dedicati alla comunità. La ied [ìed] sottolinea anche ripetutamente la propria forza nel resistere all’ebbrezza provocata dall’assunzione rituale della inna [ìnna], bevanda alcolica locale. Passa quindi sotto a delle enormi forbici, che la taglierebbero a pezzi se in vita si fosse comportata male e comunque non adeguatamente; ma lei passerà indenne sotto le forbici.  Va detto anche che le vicende messe in scena dalla ied [ìed] hanno un significato simbolico corrispondente al passaggio della ragazza dalla condizione di bambina (mimmi [mìmmi]) a quella di donna (yagwa [iàgua], sisgwa [sìsgua], ome [òme]).

[20:18] MS: Il rito di passaggio si svolge in tre momenti successivi, ma unitari nel loro andamento complessivo, per la sua struttura, vissuto e partecipazione: l’ingresso nella pubertà, il taglio dei capelli per opera della iedi [ièdi], il rito di iniziazione e la festa del villaggio con l’imposizione del nome definitivo alla bambina ora divenuta adulta (sisgwa [sìsgua]). Il primo momento avviene nella capanna della famiglia della ragazza, dove, all’avvenuto menarca, gli uomini della famiglia costruiscono, all’interno della capanna della notte (negdummad [neidùmmat]), un piccolo recinto di canne come paravento (surba [sùrba]). Qui la ragazza rimane seduta su di un panchetto, vestita di una sola tunica e bagnata più volte al giorno, con la presenza di sole donne. Può mangiare solo alla sera e, durante il giorno, bere una bevanda composta da cacao triturato, mais, zucchero di canna. Queste limitazioni e questo primo rituale sottolineano “l’avvenuto passaggio di condizione e le nuove responsabilità da donna che l’attendono”, come mi spiega Edilia Stanley che mi accompagna e mi fa da interprete. Dopo 4 giorni la ragazza viene dipinta in tutto il corpo di nero, con una sostanza vegetale di genipa [genìpa], ed allora l’anziano maschio della famiglia può comunicare al villaggio l’avvenimento recandosi alla Capanna delle Riunioni (onmagged nega [onmàked nèga]) davanti ai capi o saggi (sagla [sàila]) ed al resto del popolo lungo il cammino dalla casa, portando una lanterna accesa. A questo punto (ed è il secondo momento) si può eseguire il taglio dei capelli che avviene sempre all’interno della capanna della famiglia della ragazza, ad opera della iedi [ièdi], che intona il suo canto cerimoniale Ied Namagged [ìed namàkket]. Dopo questo rito cominciano i preparativi per la successiva festa (innasugd [innasùit]) che si svolgerà nella Grande Capanna del Villaggio (inna nega [ìnna nèga]) una volta terminata la raccolta del cibo e della legna da parte degli uomini del villaggio. Compito delle donne è invece quello di estrarre lo zucchero dalla canna e cuocerlo su grandi fuochi da campo per ricavarne una bevanda fermentata (innagagbid [innagàibit] o gagbir [kàibir]).

[24:34] Ied Namagged [ìed namàkket] Canto VIII: Avvio musica Guna ‘Canto della tonsura’

[25:43] Ied Namagged [ìed namàkket] Canto VIII: Chiusura musica Guna ‘Canto della tonsura’

[25:44] PT: Così recita il canto che abbiamo ascoltato: Balla con le altre nel centro del recinto (che è come un nido), dice alla bevanda che assume che non la prostrerà, e che tornerà sobria. Abbraccia le amiche circostanti, che ridono felici, dice che si sente davvero la tagliatrice, muovendosi sulla sedia. Taglia i capelli riempiendosene il grembo, dice che non riconosce bene la ragazza, ma che il suo nuovo nome sarà dato dal cantore (gandule [kantùle]). Ha cominciato a tagliare i capelli, mentre beve parla, pienamente consapevole. E si muove per andare dal gandule [kantùle], si rigira in mano la tazza d’oro della bevanda, (la inna rituale [ìnna]), le si affina la consapevolezza, e dice alle amiche che con le sue forbici ha penetrato l’anima della ragazza, ora la conosce bene. La bevanda le fa perdere l’equilibrio del suo corpo, rischia di cadere; ma lei sarà più forte della inna [ìnna].

[26:43] LG: Il canto consiste in una descrizione poetica fatta da Teresa Pérez [terésa pères] delle operazioni che la figura istituzionale Guna della iedi [ièdi], ovvero ‘tagliatrice dei capelli’, e altre figure compiono nella cerimonia di iniziazione delle fanciulle che si dà in un luogo deputato, successivamente al momento del loro menarca, poi terminando con la descrizione potente delle visioni che la tagliatrice dei capelli – qui, la stessa Pérez [pères] – ha del proprio futuro, anche dopo la morte. Il testo, in versi cantati, di solito separati da dei marcatori, è stato suddiviso dai curatori in 15 brevi sezioni, che possiamo definire ‘canti’, che sono effettivamente intervallati da una pausa estesa e di ristoro, quindi di una certa lunghezza, dell’esecutrice. Il canto complessivo è una rappresentazione di un sovrapporsi di eventi, con un andamento non-narrativo, con l’alternanza di ricordi o previsioni, e quindi con diverse e ritornanti collocazioni spaziali. C’è però un progressivo andamento ‘logico’ o, per meglio dire, di progressione spirituale, da quando si lascia la casa privata fino all’assunzione in una sorta di paradiso dopo la morte, nella consapevolezza del valore del proprio ruolo svolto anche a costo di trascurare la vita privata.

[27:58] LG: In avvio, la tagliatrice si descriveva appunto nel lasciare la propria casa e i figli che lì stanno (che è un motivo ritornante, segno della abnegazione della iedi [ièdi]), per recarsi nella inna nega [ìnna nèga] (casa della festa e della bevanda), con una dichiarazione d’intenzione: una effettiva uscita (ovviamente nel ‘ricordo’) dalla casa privata alla casa del gandur [kàntur] (suonatore di flauto), con l’arrivo di altre persone convenute alla cerimonia. Si presentano metaforici animali (custodi) nella surba [sùrba] (stereotipicamente definito ‘nido’ – bosurba [bosùrba]), dove ha luogo anche una danza. Con una cesura: c’era però nel canto V un ‘ritorno’ alla inna nega [ìnna nèga], dove il ‘rinfrescarsi’ è metaforico, così come l’uso del termine bugbu [bùibu] potrebbe essere un’allusione alla pratica sia della fumigazione rituale nella cerimonia della festa, prima del bere, come ‘schermo’ all’ubriachezza, sia del canto ugobed [ugòbet] come canto di controllo dell’ubriachezza, che è comunque ubriachezza rituale. Poi si torna a collocare il dettato nella surba e s’inizia a parlare del punto centrale del taglio dei capelli, che lì appunto avviene, non senza che la iedi [ièdi] si adorni il viso, e con il ritorno, dal canto VII, di una sorta di teso ‘dibattito’ – protratto fino al finale – con la inna [ìnna], che non deve sopraffare la tagliatrice, che dichiara appunto la sua sapienza. I versi del canto VIII, che abbiamo ora ascoltato, sono riassuntivi della situazione surba [sùrba]. Lì si canta e si balla, e tanto accade durante il momento centrale ed essenziale del taglio dei capelli, mentre l’imposizione del nome da adulta alla ragazza al centro del rito si terrà – con altri attori – nella inna nega [ìnna nèga]. 

[29:48] MS: Nel momento iniziale dell’esecuzione, l’operatrice si rivolge alla ragazza con tono colloquiale, e poi al resto dei presenti in forma recitativa, spiegando contesto e situazione di svolgimento della sua opera. Il suo intervento narrativo non solo permette la collocazione del canto nel suo procedere a chi è presente, ma permette anche all’operatrice di poter ripetere ancora una volta l’ordine sequenziale della sua esecuzione in ossequio allo svolgimento del rito, di mantenere il “filo del rito”, la propria resa di memoria del canto e dell’azione attraverso la sua personale “messa in situazione”. Immedesimazione performativa che è fatta di memoria, voce, corpo, ritmo, al di là dei significati oscuri di molte parole che recita e che non possono essere prese alla lettera, ma che devono essere anch’esse interpretate. E’ proprio quest’ultima notazione sulle implicazioni strutturali e cognitive del corpo, nella messa in azione della voce nella performance, che evidenzia come il corpo e la voce giochino tra loro con rimandi reciproci. Infatti, oltre alla immedesimazione performativa, altro carattere costitutivo è il fatto che l’esposizione di tipo memorativo è di per sé “azione” perché porta la voce ad una motricità legata al controllo del corpo nell’azione nel rito: il corpo si muove e piega la parola nel seguire il contesto rituale fatto di azione e presenze, come a legare con la voce chi ascolta ad una entità assente, ad una forza invisibile e di cui la voce è il tramite, operatore di un sapere esperto e consapevole.

[31:39] Una stessa “intenzione” soggiacente alla parola come azione del corpo dà senso e valore alla comunicazione e relazione simbolica dei partecipanti con il “fatto” e nel “fatto”. L’efficacia simbolica della relazione tra voce e corpo consiste proprio nella corrispondenza di questa intenzione nella costruzione sociale dell’identità di genere e di popolo, e nel fatto che i presenti “con-prendono” e sono “com-presi”. Infine la relazione tra voce e corpo ha bisogno di un addestramento perché l’esecutore arrivi a detenere questo sapere esperto e la parola riesca a trasmettere sapienza, e questo si realizza in due percorsi distinti ma anche, a ben vedere, integrati tra loro: 1) con l’andare a scuola dal maestro del rito e “voce della tradizione” del rito e della conoscenza a questo legata; 2) con l’esercitarsi a possedere la materia e la memoria, piegando il corpo a questo esercizio, incorporando la parola da rimemorare nella mente e nella postura.

[32:47] PT: Il secondo estratto riguarda i canti XII–XIV con il passaggio all’aldilà della tagliatrice. Luciano parlaci di questo canto. 

[32:57] LG: Con i canti IX, X e XI si arriva al cuore del ‘movimento’, che è spirituale, verso Dio, e che si fonderà con il trasporto della salma della tagliatrice al cimitero, un viaggio-funerale per acqua, mediante una barca, metafora e vera barca immaginata, su cui salgono animali e fiori che accompagnano il rito. Ascoltiamo poi per esteso il canto XII, la ‘lotta finale’, che corrisponde al giudizio sull’ ’anima’ della tagliatrice, un giudizio che può esser dannazione o salvezza, della quale la tagliatrice si proclama certa. Il senso complessivo ed essenziale è che la tagliatrice si dichiara abile e corretta, capace di sacrificare il privato, consapevole della propria abilità nel non farsi sopraffare dalla bevanda, nel saper tagliare correttamente i capelli. Afferma così di avere un adeguato ruolo ed una funzione essenziale nella struttura della comunità. Per questo non ha timore di sottoporsi a giudizio, “il giudizio delle forbici” (per l’idea che ciascuno sarà giudicato dagli oggetti che maneggia, cioè dalle entità con cui entra in rapporto fattivo e utile): otto paia di forbici d’argento stanno sospese a minacciarla, ma la iedi [ièdi] passa indenne sotto di esse, urlando orgogliosamente che non sarà squartata, mentre le forbici si acquietano. E superato questo giudizio, può procedere (sono questi i canti XIII e XIV) placidamente alla sede di Gammibe [kammìbe], il sole, in un ambiente tutto dorato. Sotto il profilo etico siamo di fronte ad una raccomandazione verso uno spirito collaborativo che consenta la salvazione dopo la morte oltre che la considerazione in vita. Dal canto XIII e per il canto XIV saremo ad un prosieguo del viaggio per acqua, su una barca d’oro, per un fiume d’oro, mentre s’innalzano campanili dorati con squillo di campane, con solo un’ombra di rimpianto per la vita terrena. La destinazione è appunto presso Gammibe [kammìbe], il sole: una sorta di paradiso descritto nel prosieguo dei versi, fino al finale del canto XV.

[35:05] Ied Namagged Canti XII – XIV - Avvio musica Guna ‘Ied Namagged’

[36:14] Ied Namagged Canti XII – XIV - Chiusura musica Guna ‘Ied Namagged’  

Recita il Canto XII:

[36:15] PT: Sta per lottare con le forbici, è alla loro soglia, e grida: ‘argento delicato che stringi forte, e tintinni, arrivo’! S’apre la porta, le forbici pendono lucenti, appese a un filo d’oro. La tagliatrice osserva, le forbici cigolano, la tagliatrice rischia d’essere squartata, come accade alle tagliatrici inadeguate, e l’anima deve salvare il corpo. Son sospese otto paia di forbici, dice la tagliatrice: ‘state davanti a me a ringhiare’. Ma si quietano, mentre la tagliatrice dice: ‘vengo da voi! Sento l’anima della ragazza, viene colei che tagliò i capelli a regola d’arte’. E dice: ‘non mi squarterai, mai mi squarterai’.

 Recita il Canto XIII: 

[37:03] PT: Dice che ha penetrato l’anima della ragazza. Le forbici sono posate, lei si muove e dice alle forbici che la seguono minacciose, che sale sulla barca e che viaggerà verso il padre (il sole). Le amiche le chiedono se davvero vuol partire (per l’aldilà), scordandosi dei figli. Ma la tagliatrice si muove su una barca d’oro, su un fiume d’oro. Sta arrivando da Gammibe ([kammìbe] il sole), lo guarda, guarda attorno a lui, e s’innalzano squillando i campanili d’oro. Scorre il fiume d’oro, spumeggiando, squillano i campanili d’oro, ondeggiano le loro bandiere d’oro, la tagliatrice osserva.

Infine recita il Canto XIV: 

[37:42] PT: Procede, senza pensare alla casa che lascia, senza rimpiangere i figli. E’ da Gammibe [kammìbe]. La barca d’oro si ferma, lei scende per una scala d’oro, come in una danza, pensa che non ritornerà. Va da Gammibe [kammìbe], ne ha aperta la porta, entra e c’è una sedia d’oro lavorata, brillante. Si siede, dondola poi nell’amaca, e sta quindi ferma in piedi davanti a Gammibe [kammìbe].

PARTE III - CONCLUSIONE

[38:08] MS: Da parte mia vorrei concludere ricordando che tra tutta la vasta letteratura di antropologia ed etno-linguistica Guna, riferimenti al complesso del rito di passaggio della pubertà sono presenti solo in pochi testi che riferiscono sulla sostanza del rito e senza alcuna documentazione riguardo all’intervento della donna esperta, come al relativo canto messo in atto. Comunque, a partire anche da questi testi, possiamo osservare alcuni aspetti rilevanti: in primo luogo la pratica del rito può variare tra un villaggio e l’altro; in secondo luogo si va perdendo nel corso del tempo la presenza e la comprensione di elementi materiali e simbolici presenti nella tradizione del rito, che va assumendo sempre più la valenza di mera festa sociale. Alcuni esempi di queste variazioni, e tenendo presente la nostra esperienza etnografica (1981 e 2004), sono: 1) la presenza di oggetti rituali nel recinto della ragazza (surba [sùrba]), come un modellino di una canoa, con la funzione anche di cucchiaio con cui aspergere l’acqua sul corpo della ragazza; 2) l’acqua viene rifornita dalle donne partecipanti, per 8 volte ciascuna; 3) il nele [nèle] contribuisce a questa fornitura di acqua con una certa quantità trattata con sostanze profumate e rigeneranti il corpo della pubere; 4) la madre della ragazza dipinge il corpo della figlia con una sostanza vegetale dal colore nero, dopo 4 giorni della sua clausura; è la madre stessa a eseguire il taglio dei capelli, in presenza delle altre donne della famiglia; ed altro ancora.

[39:52] MS Alla luce di queste considerazioni è bene richiamare alcune questioni di carattere generale sulla dinamica culturale: 1) la dialettica dei processi di modernizzazione e trasformazione, per la presenza di fenomeni di acculturazione e di deculturazione, come di tradizionalizzazione della cultura per l’azione sociale svolta dai sagla [sàila] a favore della conservazione e trasmissione della tradizione; 2) la libertà consentita al cantore di introdurre nel canto elementi e riferimenti personali e situazionali, pur non presenti nel canto stesso, come ereditato ed appreso dal maestro; 3) ogni performance di espressione di un canto, tanto più di quello a valenza rituale, è sempre “in situazione”, cioè il cantore tiene presente il contesto in cui si esprime.

[40:47] MS: Nello specifico, il canto Ied Namagged [ìed namàkket] vede la iedi [ièdi] in un “movimento” che va dalla sua storia personale, all’assunzione di elementi della cultura legati sia alla funzione specifica sia alla simbologia che viene sottesa.Evidenzio qui alcuni di questi aspetti simbolici del rito e del Canto come la presenza del modellino di canoa nella surba [sùrba] della pubere e della barca nel canto della iedi [ièdi] come mezzo di passaggio di tempo e condizione, nel primo caso da ragazza a donna, e, nel secondo caso, da madre di famiglia a donna esperta e responsabile del taglio per conto della comunità. Ancora, l’uso del dipingere la faccia o il corpo con il colore nero, ricavato dalla bacca di genipina [genìpa], deriva dalla tradizione guerriera di oscurare la faccia e mettere così paura all’avversario e, quando trasferita al rito della pubertà con la pittura sul corpo della ragazza, viene a sottolineare il coraggio con cui la ragazza stessa deve andare incontro alla sua nuova condizione di donna. 

[41:53] MS: Infine, i riferimenti ai numeri 4 ed 8 ripetuti, più volte nel canto e nel rito, hanno senso e significato nel valore simbolico che ad essi viene attribuito nel sistema di numerazione Guna. Il numero 4 simboleggia la condizione di vita dell’uomo sulla terra (nabbanega [nàppa nèga]) e 4 sono gli stadi successivi di purificazione che l’uomo deve attraversare dopo la morte per “vestirsi d'oro nella casa di Dio” (babanega [pàba nèga]), simboleggiato dal numero 8. Va anche ricordato che l’importanza rituale del numero 4 è presente in maniera consistente e ripetitiva ad esempio nel “Canto del Parto” (Mu Igala [mu igàla]) e nella relativa pratica della levatrice.

[42:47] LG: Vorrei concludere sottolineando alcuni aspetti – per quanto già detti – del nostro lavoro.

In primo luogo, il canto da noi raccolto include la sezione rituale che la ied [ìed] deve declamare nella capanna della ragazza, in quello che costituisce il secondo momento dell’intero rito, e si declina invece dalla iniziale invocazione presso la surba [sùrba], al successivo taglio dei capelli, alla conclusione di questo momento del rito di iniziazione.In secondo luogo insisto sul fatto che il linguaggio del canto si caratterizza non solo per la sua terminologia specifica, ma anche si sviluppa a un livello linguistico ‘alto’ e semi-criptico, non chiaro agli stessi parlanti nativi Guna che non siano per così dire ‘iniziati’. Infine ricordo che la pubblicazione del nostro lavoro ha come copyright quello del popolo Guna, proprio per le modalità con cui il lavoro è stato eseguito e controllato e perché la proprietà è e rimane, appunto, del popolo Guna. Aggiungerei ora alcune considerazioni che ritengo importanti riguardo al tema generale di questo incontro sugli Archivi Digitali dell’America Indigena. Nel nostro Archivio CISAI/CISAP presentiamo la trascrizione del canto insieme ad un vasto apparato critico, oltre alla registrazione audio del canto e all’analisi antropologica del rito. Questo complesso lavoro è necessario per la sua archiviazione ed è costituito a partire dal paradigma che l’analisi del testo ha bisogno del riferimento al suo contesto di esecuzione per essere compreso ed interpretato, con la consapevolezza che “testo” e “contesto” non sono elementi autonomi ed indifferenziati ma costituiscono tra loro una relazione che rende specifica ogni singola performance. Così la rappresentazione di un evento che si vuole restituire ad un occhio esterno si basa proprio sull’assunzione nell’analisi dei tre termini della relazione: testo – contesto – contorno. E questa è una prospettiva già indicata ed utilizzata da Gregory Bateson. Altrimenti l’analisi dell’antropologo è fuorviata e l’interpretazione che egli ne dà diviene una “finzione”, cioè una “messa in scena” e non una “rappresentazione” dell’evento in questione; finzione che viene proposta come reale perché diventa “vera” secondo la prospettiva adottata.

[45:02] Con Luciano e Massimo, abbiamo affrontato il tema degli Archivi digitali e della loro messa in rete nel rispetto dei molti principi etici e metodologici che l’uso della ricerca sul campo comporta. Nel corso di queste riflessioni abbiamo anche avuto modo di incontrare un rito tradizionale della cultura dei Guna di Panama, lo Ied Namagged [ìed namàkket] oCanto della tonsura” nel rito della pubertà femminile, messo in atto dalla donna esperta sia con la rimemorazione del canto che con l’intervento vero e proprio del taglio dei capelli. Sono emerse così numerose questioni legate al linguaggio difficile e riservato del canto, alla sua interpretazione e, più in generale, alla sua messa a disposizione di altri ricercatori, nel rispetto di quello che Luciano chiama “principio di autorialità” e Massimo “etica della forma”. Per finire con un importante nodo metodologico: quello della osservazione sul campo di un rito, della sua registrazione audio e video, per una corretta lettura ed interpretazione e soprattutto – quando del rito se ne ha anche un testo trascritto – perché “un testo ha senso e significato nel suo contesto d’esecuzione”, come sottolinea Luciano. Infine, Massimo ha osservato alcuni aspetti rilevanti del rito: che la pratica del rito può variare tra un villaggio e l’altro; che si va perdendo nel corso del tempo la presenza e la comprensione di elementi materiali e simbolici presenti nella tradizione del rito, che va assumendo sempre più la valenza di mera festa sociale. 

[46:26] Avvio sottofondo musicale conclusivo 

[46:27] PT: Ringraziamo ancora Massimo e Luciano dell’Universita’ di Siena per questa conversazione e tutti coloro che hanno ascoltato questo podcast. 

[46:51] AP: Thank you for listening to another episode of Anthropological Airwaves, we’ll be back in your ears next month with more great anthro audio. 

[46:58] - Chiusura sottofondo musicale conclusivo

[46:58] AP: This episode was hosted, produced, and engineered by Paola Tine, who also translated the Italian into English. The episode was translated to English by Paola Tine. It was dubbed by Josh Smeich. Special thanks to Jacklyn Lacey, Kisha Supernant, and Sherina Felicianos Santos for additional editorial guidance. The intro and outro music you here is “Waiting” by Crowander. As always, closed caption versions of the episode will be available on the Anthropological Airwaves YouTube page and full transcriptions of the episode are available on the episode page on the website. There you will also find a trove of supplemental content to go with the episode. Links to both are included in the show notes. If you enjoyed this conversation, be sure to subscribe to Anthropological Airwaves wherever you listen to podcasts. Also, don’t forget to rate and review us wherever you listen to Anthro Airwaves. A five-star review in particular will help other listeners find the show! We would also love to hear from you in general. If you have feedback, recommendations, or your thoughts on recent episodes, send an email to amanthpodcast@gmail.com. You can also reach out to us on our Facebook page Anthropological Airwaves or on Twitter with the handle @AnthroAirwaves. Find links to all of our contact information in the show notes and on the Anthropological Airwaves section of the American Anthropologist website. 

[48:13] fine dell’ episodio 


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